Nella Gestalt Therapy la cura consiste proprio nell’individuare le molteplici (continue e significative) interruzioni e, in vista del contatto pieno, dare il sostegno specifico mancato. Quando l’O. ripristina la sua competenza e può portare avanti contatti nutrienti con l’A., riprende la crescita così come la vita propone e garantisce. Mentre nella terapia individuale sono il terapeuta e il paziente ad essere coinvolti in una esperienza di contatto – e a sperimentare quindi le difficoltà dell’entrare in contatto e del portarlo a pienezza – nella terapia familiare sono i membri della famiglia che vengono condotti (e facilitati) dal terapeuta a sperimentare un contatto pieno. Naturalmente il terapeuta, proponendo esperienze mirate a due membri della famiglia, cerca col proprio intervento clinico di offrire quel sostegno specifico che è loro mancato. Per tale ragione – differentemente da Bowen, che vietava ai membri della famiglia di interagire tra loro e invitava a porre statement solo al terapeuta, per facilitare il passaggio dalla massificazione all’individuazione – la GT punta proprio sul far interagire i membri della famiglia tra loro. Il terapeuta osserva i vissuti corporei e relazionali per cogliere la direzione (verso dove sta andando questa famiglia) e le modalità (funzione-Personalità e funzione-Es). Le domande che il terapeuta si pone vanno su questa linea, per cui si chiede: ‘quale funzione Personalità è distorta?’, ‘quale corpo è chiuso e nei confronti di quale altro corpo?’, ‘quale corpo deve cambiare posto?’. Per l’intervento tecnico, la domanda è: ‘chi deve mettersi di fronte a chi?’.
Giovanni Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi. Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg. 90-91