Nei giorni della scomparsa di Erving Polster, insieme al nostro ricordo, riproponiamo il capitolo dedicato all’incontro con lui e Miriam dal numero 9 della Rivista GTK, dedicata ai 40 anni di storia del nostro istituto.
Iniziano i lunghi anni dell’apprendimento e dell’assimilazione della GT. Consideriamo nostri primi maestri Erving e Miriam Polster. Facevano parte del Gruppo di Cleveland (anche se si erano successivamente trasferiti a San Diego), chiamato Gestalt del Cuore: un gruppo che era stato formato direttamente da alcuni dei sette fondatori della GT. Avevano elaborato dal testo fondativo un loro modello di GT. In modo differente, allievi e staff ci nutrivamo del loro insegnamento teorico e clinico. La Terapia della Gestalt che ci trasmettevano Erving e Miriam Polster si articolava sui grandi concetti teorici e clinici di consapevolezza-contatto-esperimento. Da loro apprendemmo che, contrariamente allo stile abrasivo di Perls e della Gestalt Viscerale, si poteva essere clinicamente efficaci restando eleganti (uno degli insegnamenti più frequenti di Miriam Poster), che la consapevolezza gestaltica è come un fiume carsico che attraversa il nostro Organismo, che l’azione può essere strumento di consapevolezza, sperimentazione di nuove possibilità e celebrazione di integrazioni, che terapia è ripristinare la sinapsi tra sistema sensorio e sistema motorio, che la consapevolezza gestaltica è corporea, che la fenomenologia è stile di vita, che il contatto si manifesta nel diventare vitali e pieni di luce, che la terapia è fare emergere dalle contratture del corpo le potenzialità bloccate del paziente e visibili nell’ovvio della postura, che la terapia è sintonizzarsi con i bisogni del paziente, che ha una valenza terapeutica lasciarsi affascinare dal romanzo che è la vita di ogni paziente, che la positività terapeutica è la lettura rigorosa e puntuale delle spinte alla crescita che fremono nel corpo e nel respiro della persona, che in ogni situazione vibra nel nostro Organismo una freccia come spinta insopprimibile ad andare verso la pienezza per cui la Gestalt rilegge il ‘qui-e-adesso’ delle terapie umanistiche come transizione dal now al next (now-for-next).
Mi colpiva sempre il loro modo originale di lavorare sui sogni, il loro stile terapeutico che apriva il corpo del paziente a quel gesto, a quell’esperimento che – come dicevano loro – «ampliava i confini dell’Io». Ricordo un lavoro in cui un allievo raccontava di una partita di calcio e, dopo aver lavorato sulla partita, Miriam disse: «Identificati adesso con il campo da gioco». Fantastico! Vennero fuori delle consapevolezze interessanti e significative, per l’allievo, sul suo sentirsi sempre disponibile a dare e sulla sua difficoltà a chiedere.