Il filo d’Arianna dentro il fiume di parole che quotidianamente scorre in una famiglia è proprio la continua definizione delle relazioni. Dentro tutte le parole è racchiuso ed è cercato un contenuto implicito: ‘chi sono io per te?’, ‘ci stiamo avvicinando o allontanando?’, ‘sei dove ci siamo lasciati?’. Solo quando le parole vengono da un’attenzione al vissuto corporeo da parte di chi le pronuncia, arrivano al corpo altrui creando contatto. E ci si sente placati, come dopo il contatto pieno. Purtroppo le paure, i fraintendimenti, le delusioni, i momenti di rabbia rendono spesso criptico il linguaggio della relazione. Si crea uno stile comunicativo che non facilita ma ostacola e complica l’incontrarsi. Le parole separano se non si ascolta in profondità il proprio corpo. Così vengono usate – come dice il poeta– ‘parole disabitate’ o, meglio, lontane e confuse rispetto ai propri vissuti e alle proprie intenzionalità. Le parole-non-dette-ma-che-premono-per essere-dette rendono i corpi trattenuti e il clima familiare teso, allertato, propenso al fraintendimento.
Giovanni Salonia, Danza delle sedie e danza dei pronomi. Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2017, pagg. 83-84