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A “La cogenitorialità e la coterapia nell’intervento clinico con coppie e famiglie” dedicheremo la prossima lezione del Corso di alta formazione in Psicopatologia gestaltica, con crediti ECM. È possibile partecipare come uditori

Essere genitori oggi

Diventare genitori è il mestiere più difficile ma anche quello più in evoluzione. Per comprenderne le difficoltà, ma anche le potenzialità, è necessario confrontarsi con i cambiamenti sociali e culturali, con il contesto in cui viviamo.
Oggi emergono nuovi stili relazionali, nuovi modi di vivere le relazioni intime, affettive e sociali, nuove forme di famiglie e nuovi modi per comprendere la crescita e la formazione delle identità.

Premettendo che la genitorialità non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma con la “capacità di prendersi cura”, è chiaro oggi i genitori si percepiscono da una parte depauperati della loro funzione educativa, quasi impotenti verso i figli, dall’altra eccessivamente responsabilizzati dal compito di farli crescere bene e in fretta.

Ma essere genitore non è solo un ruolo da ricoprire: essere madre e padre è una esperienza che va assimilata, deve diventare memoria corporea, e questo accade cercando di coniugare consapevolezza e spontaneità. Attraverso la quotidianità che viviamo con i nostri figli impariamo a sentirci madri e padri,  riusciamo a fare abitare nel nostro corpo ciò che siamo diventati.

Essere “genitori-con”

Se l’essere genitori concerne la maternità o la paternità di un figlio («mi sento padre o madre di questo figlio»), l’essere cogenitore riguarda l’essere genitori di questo figlio insieme all’altro genitore.
Queste due esperienze della funzione genitoriale, pur distinte, sono inestricabilmente connesse e si influenzano reciprocamente: il modo in cui si è “genitori-con” influenza il modo in cui si è “genitori di”.

Una delle sfide del contesto attuale, con potenzialità e risorse inedite per i genitori e per i figli, è essere “genitori con”.
Questa dimensione apparentemente ovvia e scontata è in realtà quella che anche come clinici ci troviamo ad affrontare quando i genitori ci portano un disagio comportamentale dei figli o sintomi che esprimono profonde sofferenze.

Quali sono dunque le dimensioni della co-genitorialità che come clinici andremo ad osservare?

Guardare la famiglia vuol dire innanzitutto guardare al Sé familiare e alle tre funzioni del Sé.
La prima che osserviamo riguarda la Funzione Es della famiglia, ovvero come stanno i corpi, e riguarda la dimensione dell’intercorporeità, cioè dei vissuti corporeo-relazionali che intercorrono tra i membri della famiglia.
La seconda che facciamo emergere al confine di contatto nella relazione tra i membri della famiglia è la Funzione Io: ogni sofferenza ci dice infatti di un’esperienza di contatto interrotta («cosa io posso fare con te, come posso raggiungerti o essere raggiunto, quali cose posso dire o non dire, quali gesti posso fare o meno in questa famiglia»).
La terza, non in ordine di importanza ma di intervento clinico, è la Funzione Personalità che riguarda, in particolar modo, i pensieri connessi con l’esperienza, ossia i pensieri corporei, la consapevolezza incarnata; è importante che i genitori si percepiscano co-responsabili del benessere e del disagio dei figli, assumendosi la co-responsabilità del prendersi cura.

Il ruolo genitoriale e co-genitoriale non sono legati a un comportamento ma a un sentire che trova il suo senso e la sua direzione, anche educativa.
Coerentemente con questa premessa, i disagi dei figli nascono proprio per alleanze o tra i genitori a scapito dei figlio tra un genitore e un figlio, specie del sesso opposto, contro il proprio partner.
In questo casi avremo quindi un disturbo della funzione personalità genitoriale e co-genitoriale, da cui ha origine il disturbo della funzione personalità dei figli l’origine è il disturbo della funzione personalità co-genitoriale perché c’è un Ordo amoris, un ordine irreversibile degli affetti di chi deve prendersi cura.

 

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