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Ogni parola ha conseguenze.
Ogni silenzio anche.
(Jean-Paul Sartre)

L’emergenza per Coronavirus ha interrotto bruscamente le routine, gli interventi riabilitativi e i rapporti umani. Per le disabilità questa emergenza implica conseguenze anche serie perché ricade su una parte della popolazione già fragile e bisognosa di supporto e le misure restrittive non hanno tenuto conto da subito di queste particolari necessità. Attraverso lo sguardo offerto dall’esperienza clinica vengono analizzati nell’articolo più aspetti della situazione: da quelli più legati alla disabilità sia in età evolutiva che negli adulti, a quelli più legati alle conseguenze sui disabili e sulle loro famiglie dal punto di vista sia pratico e organizzativo sia emotivo. Emergono quindi sia esperienze di forte disagio ma anche esperienze adattive se adeguatamente sostenute anche in questo momento.

Cosa accade ai disabili quando vengono interrotte le routine

Tracciare un quadro esaustivo delle possibili conseguenze per le persone con disabilità dell’emergenza che stiamo vivendo è un compito arduo per via delle infinite unicità in cui si declina la disabilità stessa. Mi limiterò qui a descrivere quelle che ho potuto raccogliere e osservare attraverso la mia esperienza clinica.

Già da qualche settimana, per via dell’emergenza Coronavirus, tutti noi, in tutto il mondo, abbiamo sperimentato in modo veloce e inatteso il cambiamento delle nostre abitudini quotidiane, un aspetto scontato della nostra esistenza, che ora più che mai ci sembra prezioso e caro. Il bisogno di costruire una quotidianità prevedibile e stabile è uno degli aspetti più significativi per molte persone con disabilitàtanto che l’organizzazione quotidiana e i cambiamenti alle routine necessitano in molti casi di un’anticipazione esplicita affinché siano possibili e accettabili le novità.

Mi riferisco, per chiarezza, con il termine disabilità – come utilizzato dall’OMS nell’ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute- alla presenza di menomazioni, limitazioni dell’attività o restrizioni della partecipazione associate alle condizioni di salute e conseguenti alla diagnosi di disturbi sia in età evolutiva che nell’età adulta.

L’impatto del cambiamento dovuto all’emergenza per Coronavirus sulle disabilità e sulle persone con diagnosi importanti come l’autismo può essere amplificato perché hanno generalmente bisogno di supporto per affrontare i cambiamenti.

L’interruzione improvvisa ha infatti interrotto la possibilità, per tutti, di partecipare alla vita sociale, scolastica, lavorativa e ludica essenziali per la salute psico-fisica senza avere un’idea di come riadattarsi a questa nuova realtà.

Può essere difficile per una persona con disabilità comprendere fino in fondo cosa sta accadendo, adattando in modo funzionale i propri comportamenti alla situazione, così come lo è poter gestire o esprimere le emozioni e la sofferenza.

Con fatica attraversiamo questi giorni cercando di ricostruire e riadattare la nostra nuova quotidianità ma anche confrontandoci con i vissuti che emergono nella nuova situazione: il senso di solitudine e di isolamento, il disorientamento e la confusione, le vicinanze forzate e l’impossibilità di stare con le persone significative. Emergono ansia, paura, rabbia e tristezza alternati a fiducia, gioia e serenità.

Gli stessi vissuti che abbiamo condiviso noi tutti hanno qui una valenza amplificata perché si verificano in situazioni di maggior fragilità che richiedono normalmente un notevole supporto, la presenza di risorse concrete e la capacità di resilienza nelle persone coinvolte. In molti casi si sono già verificate in queste settimane conseguenze gravi sia dal punto di vista pratico sia emotivo per le persone con disabilità e per i loro familiari, anche se questo può non essere la regola e da questa esperienza emergono anche potenzialità nuove nella vita di molte di loro.

Mi racconta Marta, mamma single di 2 bambini, uno dei quali con un lieve disturbo del neurosviluppo, seppur in difficoltà economica, di come è migliorata in questi giorni la relazione con i propri figli proprio grazie alla possibilità di una presenza sia fisica che emotiva che ha permesso di sperimentare insieme cose che prima non erano possibili, perché non c’era mai il tempo per potersi fermare. Una presenza ora capace anche di accogliere e sostenere anche la tristezza, la rabbia e la frustrazione dei bambini. I figli di Marta avevano sempre avuto notevoli problemi di selettività alimentare e ora che la mamma può dedicarsi con calma a sperimentare nuovi alimenti, gradualmente i figli stanno anche assaggiando cibi nuovi.

Ma ci sono anche esperienze drammatiche, come quella di Flavio, ragazzo autistico di soli 20 anni, già obeso, con gravi problemi e una famiglia non in grado di gestirlo, che durante i giorni di isolamento a casa è andato completamente fuori controllo con il cibo subendo per un arresto cardio-circolatorio.

Le difficoltà emotive possono degenerare in comportamenti problematici

Un problema è la gestione di emozioni come la paura, la frustrazione o la rabbia che nelle persone con disabilità e nelle loro famiglie può essere amplificata e non trovare nell’immediato una risposta di supporto dall’ambiente, diventando anche angoscia insostenibile o acting-out.

Purtroppo sono state numerose in questo periodo le reazioni scompensate di ragazzi o adulti con gravi disabilità di fronte all’interruzione dei rapporti e delle esperienze quotidiane e alle restrizioni che hanno subito.

Una difficoltà importante che stanno affrontando in questo momento le famiglie è proprio la gestione di comportamenti problematici auto ed etero aggressivi che ne conseguono e che non sono in grado di affrontare senza l’aiuto di figure specializzate.

La casa infatti non è assolutamente un ambiente neutro, ma piuttosto lo spazio privato in cui emergono inevitabilmente le difficoltà relazionali preesistenti, come una difficoltà di relazionarsi o contenere un familiare disabile. La permanenza forzata in casa, quando non compresa, può degenerare in stati di violenza o depressione.

Fortunatamente, come mi viene riferito dalle famiglie stesse, molte riescono ad affrontare la situazione, per questo i percorsi di riabilitazione e di inclusione nelle disabilità generalmente vengono calibrati sulla persona, e non solo sulla base della diagnosi, tenendo conto del contesto familiare e sociale.

Particolare, a questo proposito, l’esperienza di Valeria e Giulio, genitori di una bambina con diagnosi di autismo lieve e con notevoli problemi comportamentali e nelle relazioni, che spesso esplodono in aggressività anche fisica nei confronti dei genitori, in particolare della mamma, e di come la presenza a casa, garantita dallo smart working, ha finalmente permesso alla figlia di vivere la tanto desiderata presenza materna nella quotidianità. Mi raccontano anche di come questo abbia permesso una spontanea regolazione della relazione familiare e la scomparsa dei comportamenti aggressivi.

Il tempo indefinito dell’emergenza Coronavirus

Un altro aspetto frustrante è l’incertezza sulla durata di questa emergenza. Non sappiamo per quanto tempo durerà, e mentre conviviamo con questa sospensione temporale ci accorgiamo talvolta di perdere la cognizione del tempo trascorso in questo stato, perché non più chiaramente scandito dai nostri impegni, dagli eventi quotidiani e dalle pause. Il tempo cronologico sembra dilatarsi.

Persone con disabilità non solo vivono questa difficoltà temporale, attraverso una quotidianità che non torna, ma possono avere anche difficoltà a comprendere le conseguenze e il perché delle privazioni che stanno vivendo.

A questo proposito mi racconta Francesca, mamma di Yuri, bambino adottato di 8 anni e con ritardo cognitivo, che il clima in casa è abbastanza sereno, nonostante ora non ci sia più alcun aiuto, né da parte della scuola, né degli educatori, né dei nonni, anch’essi chiusi nelle proprie case. La maggior difficoltà è riuscire ad affiancare il figlio nelle sue attività, spesso ripetitive e disorganizzate, poiché entrambi i genitori sono impegnati per molto tempo in attività lavorative in smart working ed è difficile riuscire a coinvolgerlo nelle attività didattiche online per più di un’ora al giorno. Yuri non sembra particolarmente sofferente, ha compreso che non può andare a scuola e non può giocare con i suoi compagni. Ha bisogno di uscire di frequente a spasso, altrimenti diventa irrequieto e sofferente e quando è possibile esce a passeggiare al parco con il papà. Vive questo periodo come una vacanza, ma non ritrova ciò che conosce delle vacanze.

Il tempo della vacanza è generalmente scandito dai rituali che caratterizzano le festività (come il periodo di Natale e la Pasqua) o dalle esperienze tipiche della vacanza. Il tempo scandito da eventi ciclici è comprensibile per molte persone con disabilità perché caratterizzato da elementi contestuali e relazioni specifiche: l’albero di natale o l’uovo di pasqua, la neve o il caldo, prendere il treno o andare al mare, per fare alcuni esempi.

Yuri spesso chiede di uscire. “Yuri sai che non possiamo uscire, dobbiamo rimanere a casa perché c’è il Coronavirus” – gli risponde la mamma. E lui frustrato: “Ma perché non possiamo andare in vacanza? Perché non possiamo prendere l’aereo?”. I genitori si trovano quindi di fronte a una sfida nuova, sconosciuta e possono non essere in grado di sostenere il disagio causato nel figlio dall’impossibilità di dare senso all’esperienza.

L’altro significativo non è più presente ma emerge la figura dei familiari

Altra conseguenza importante e drammatica è la scomparsa improvvisa e talvolta incomprensibile dell’altro significativo: insegnanti, compagni, educatori, volontari, amici, terapisti, inclusa la figura dello psicologo/psicoterapeuta che hanno una particolare valenza come presenza e sostegno.

Anche la presenza di operatori in ambito domiciliare è ridotta o assente ed è diventato necessario evitare i contatti corporei, laddove il bisogno di contatto e vicinanza fisica, una modalità di comportamento anche affettiva, può essere maggiore.

E d’altro canto per le famiglie significa doversi prendere nuovamente carico totale dei propri familiari disabili, doversi occupare talvolta anche delle cure primarie senza o con poca presenza di operatori o assistenti domiciliari, talvolta volontari, perché nonostante i decreti che prevedono bonus babysitter o continuità assistenziale a casa, nella pratica questo è quasi sempre molto complicato. E in molti casi conciliare lo smart working o le attività lavorative con le esigenze attentive e di cura di un figlio disabile è davvero un’impresa eroica.

Non è scontata per persone con disabilità la comprensione di un’interruzione non motivata – da malattie o vacanze o altri motivi contestuali – e a volte, come in questo caso, può essere indicibile. Molte persone con disabilità anche grave riescono a mantenere un ritmo nella quotidianità grazie alla percezione interna della ciclicità delle esperienze. Si sono moltiplicate, specie nei primi giorni di isolamento, le pubblicazioni di libri con immagini e simboli per persone con autismo e disabilità che comportano difficoltà di linguaggio per cercare di spiegare loro cosa accade e perché bisogna restare a casa. E per molti bambini disabili l’informazione non basta per riadattarsi e per comprendere che ci sarà una durata limitata nel tempo.

La mamma di Marco, 10 anni e autistico senza linguaggio verbale, con la quale sono rimasta in contatto telefonico dopo l’interruzione delle sedute di terapia, mi ha detto che il figlio ha chiesto attraverso il suo comunicatore simbolico “Voglio andare da Simona”.

Era giovedì, il giorno abituale delle nostre terapie. Un’opportunità, quella di comunicare attraverso sistemi non verbali, faticosamente introdotta per molti bambini con gravi difficoltà di linguaggio, possibile quando c’è una collaborazione sinergica fra famiglia, scuola e terapisti. E che in casi come questi permette di esprimere vissuti e bisogni che altrimenti possono esplodere in agiti aggressivi o in altri comportamenti problematici.Marco, che ha progressivamente imparato a comunicare con un tablet e un software simbolico ha così potuto aumentare le possibilità di partecipazione sociale e scolastica con riduzione dei comportamenti problematici.

I genitori vedono come il proprio figlio stia crescendo e migliorando grazie anche alla capacità di esprimersi in questo modo. Stare a casa è frustrante per Marco, ma potendolo dire riesce poi a stare meglio e a interessarsi alle possibilità domestiche, mostrandosi ancora più attivo. In questi giorni vuole fare tutte le cose di casa, cucinare, sistemare la stanza, preparare il caffè al papà e molto altro, sempre di più.

Purtroppo questa sinergia le famiglie nella maggior parte dei casi riescono ad ottenerla perché investono molte risorse anche economiche per coniugare i reali bisogni e potenzialità del figlio con le risorse limitate del sistema sanitario e pubblico.

Chiuso per Coronavirus e anche i percorsi di riabilitazione e di inclusione si interrompono

La sospensione di tutte le attività ha determinato l’interruzione di percorsi evolutivi necessari, un danno concreto alle potenzialità di sviluppo. Penso ai più piccoli che hanno bisogno di interventi intensivi attuati in contesti terapeutici, a scuola e in famiglia e che di solito vengono aggiornati nel giro di settimane sulla base dei rapidi cambiamenti delle traiettorie di sviluppo e che ora si vedono bloccate le terapie e il percorso di inclusione, ma anche a tutti quei disabili di tutte le età per i quali tali interventi sono indispensabili. Molti familiari si trovano oggi di fronte alla paura di vedere regressioni o perdita di competenze acquisite con impegno e fatica.

Per gli adolescenti questo momento può essere particolarmente difficile soprattutto se a causa della loro disabilità hanno difficoltà nelle relazioni sociali. L’adolescenza infatti è per molti un periodo cruciale dove si inizia a sperimentare una nuova autonomia rispetto alla famiglia, avvengono cambiamenti affettivi e si sperimenta l’appartenenza al gruppo. Per gli adolescenti con disabilità sono spesso la scuola o le attività extrascolastiche le uniche occasioni per creare relazioni sociali paritarie.

Ho incontrato Giulia nel mio studio all’inizio di marzo, nei giorni successivi alla chiusura della scuola. Giulia ha un lieve ritardo cognitivo legato ad una sindrome genetica e gradualmente è uscita dall’isolamento sociale che la caratterizzava fortemente fino alla preadolescenza. Quest’anno doveva partire per un viaggio in Inghilterra con la classe, era riuscita a mettere da parte anche i suoi soldi e a giugno avrebbe concluso il liceo con l’esame di stato. Una conquista non semplice per lei sono state anche le relazioni sociali che non riesce molto bene a mantenere da casa. Tutto questo si è interrotto bruscamente e quando l’ho incontrata aveva dei sintomi somatici. Aveva paura, legittimamente, che tutto ciò per cui si era tanto impegnata potrebbe essere perso insieme alla possibilità di vivere queste esperienze in futuro.

Purtroppo questo timore è ora una reale possibilità per via di questa emergenza. Non sappiamo se le scuole riapriranno entro giugno con la conseguenza che, come lei, molti ragazzi si troveranno catapultati fuori dalla scuola senza aver potuto completare e concludere le loro esperienze e senza aver creato un ponte con il dopo.

Paolo, 13 anni, con spettro autistico lieve, ha iniziato un percorso riabilitativo nell’ultimo anno subito dopo aver ricevuto la diagnosi. Nell’arco dell’anno il lavoro sinergico con la scuola e la famiglia lo ha aiutato ad uscire dall’isolamento, ha iniziato a giocare a rugby e a frequentare qualche amico. Quest’anno avrà l’esame di terza media. Appena iniziato l’isolamento sembrava poco turbato. Però ha rifiutato qualunque contatto attraverso videochiamate, rientrando gradualmente nel suo isolamento domestico e comunicando sempre meno anche con i familiari. E’ stata cruciale, in questa situazione, la capacità dei familiari di rendersi conto di quanto accadeva e chiedere aiuto per riattivare seppur con modalità telematiche, il virtuoso percorso intrapreso con me, con la scuola e con la squadra di rugby.

Isolamento, contagio e perdita

Anche la paura del contagio di un figlio disabile, che nei casi più gravi può essere terrorizzato e non collaborante in contesti medici, è per un genitore o caregiver soprattutto la paura di non poterlo accudire e tranquillizzare, in questo momento, in caso di ospedalizzazione. E, d’altro canto, per i familiari, è sempre presente il dramma di chi si prenderà cura del figlio o del fratello disabile quando i genitori verranno a mancare, un pensiero angosciante ora accentuato soprattutto nelle famiglie monoparentali o anziane che sono più vulnerabili alle conseguenze del Covid-19.

Nella sua famiglia Federico, ragazzo di 20 anni con grave ritardo associato a crisi epilettiche, è molto amato e protetto, ha sempre avuto molte relazioni affettive anche nel contesto scolastico e nel centro diurno che ora frequenta. Ha anche un fratello di un anno più piccolo, che come i suoi coetanei inizialmente non rispettava le indicazioni di non uscire, continuando a incontrare gli amici fuori casa. Ha iniziato a rispettare le restrizione quando si è reso conto che incontrando gli amici avrebbe potuto diventare un veicolo di trasmissione del Coronavirus per il fratello già fragile.

Gli eventi straordinari come questo che stiamo attraversando possono incidere particolarmente nel ciclo vitale delle famiglie con disabilità e diventare motivo di stress importante.

Generalmente per un adulto disabile non avviene la fisiologica uscita dalla casa dei figli e resta sempre presente sia nei genitori che nei fratelli la preoccupazione per il futuro e la necessità di continuare ad occuparsene. Le aspettative riguardo al miglioramento della condizione di disabilità si riducono di pari passo con le opportunità di inserimento sociale. Allora per una persona adulta con disabilità l’interruzione delle abitudini e delle relazioni che li sostengono rischia di accentuare il senso di solitudine, alimentando l’isolamento e la depressione.

E’ quello che è accaduto a Luigina, sessantenne disabile che vive in casa con la madre, per molti anni quasi completamente isolata dal mondo e dai rapporti sociali. Luigina da circa due anni ha conosciuto Loco Motiva (www.locomotiva.club), un’associazione che ha attivato un centro diurno di cui sono supervisore e responsabile per i progetti di riabilitazione e che ospita adulti con autismo e altre disabilità. Luigina è stata accolta e ne è diventata parte attiva. Ogni giorno è pronta e impaziente di andare, regala disegni e abbracci alle persone che le mostrano attenzione, partecipa con entusiasmo alle attività e ha ritrovato vitalità, energia, interesse per la vita. Chiama quel posto “la scuola” a ricordarci come l’ultimo ricordo di un’esperienza comunitaria era di decenni prima. Nei primi giorni dopo la chiusura era inconsolabile e profondamente sofferente. Si è calmata solo quando va visto i propri amici ed operatori del centro attraverso le videochiamate. Ora sa che appena possibile il centro riaprirà.

Il sostegno di noi psicologi alle persone con disabilità in questo delicato momento

Purtroppo l’interruzione dei servizi pubblici e convenzionati non è stato seguito da un riadattamento dei percorsi attivati, con un’interruzione totale sia dei progetti sia dei rapporti con gli specialisti coinvolti. Nel caso delle scuole e per il terzo settore, i tempi sono lenti ma c’è una riorganizzazione per riprendere i percorsi interrotti. Proprio per dar voce alle difficoltà di questa fascia della popolazione, già dopo i primi giorni, sono stati importanti le iniziative e gli interventi di famiglie, professionisti e associazioni per segnalare queste particolari necessità e svegliare l’attenzione pubblica per avere risposte più adeguate in questo momento. Ci sono associazioni come il Centro Cnapp (ww.cnapp.it) con il quale collaboro che si sono attivate per assicurare continuità ai propri servizi già da subito.

Risulta quindi cruciale per noi liberi professionisti la capacità di restare presenti per queste famiglie, seppur con modalità che non mettano a rischio la salute, per dare sostegno, tranquillizzare e soprattutto supportare l’attivazione delle possibili risorse in questo momento particolare.

Come professionista opero in ambito privato anche in collaborazione con associazioni e scuole. Ho scelto di sospendere da subito l’attività ambulatoriale, rendendomi anche conto delle possibili ripercussioni di questa interruzione sui miei pazienti. Il pensiero è stato immediatamente come riadattare o modificare le modalità di supporto.

Allora è chiaro che ancor di più in questo momento è importante continuare ad essere presenti, specie laddove emergono problemi. Poter sostenere e aiutare le famiglie a riorganizzare una routine buona per tutti, sostenerle nella possibilità di essere capaci di leggere il disagio dei propri familiari disabili, sostenere la loro capacità genitoriale di dare supporto ai figli, riscoprire le loro capacità di fare insieme, ma anche di essere presenza capace di contenere e gestire le reazioni comportamentali più severe.

L’autoisolamento in questo momento può essere il più dannoso. Il rischio di isolamento sociale è esperienza frequente in molte famiglie con disabilità, già prima di questa emergenza, ma ora può diventare ancora più pericoloso perché aggravato dalla presenza di restrizioni. Per molte famiglie sta invece risultando fonte di sostegno e di speranza la condivisione delle proprie esperienze anche attraverso i gruppi virtuali e i social, perché sollecita anche un’attivazione costruttiva a casa, come fare una gara per la preparazione di un dolce o eseguire una breve attività con l’aiuto di un familiare o di un operatore a distanza. La comunità oggi può avvalersi di strumenti informatici che possono almeno temporaneamente sopperire alla perdita di relazioni umane in presenza offrendo un modo alternativo di stare vicini.

Nella maggior parte dei casi il sostegno è quindi alla rete delle persone coinvolte: per i familiari, per gestire e riorganizzare la nuova quotidianità e per operatori e insegnanti, perché prima di tutto siano visibili e presenti riadattando il proprio intervento attraverso i canali informatici anche se non fanno più parte viva della loro quotidianità. In alcuni casi mi è stato anche possibile mantenere la continuità terapeutica a distanza con il disabile stesso.

Non possiamo prevedere quali saranno gli effetti di questa situazione sul futuro delle persone disabili e sulle loro famiglie, tuttavia sono dell’idea che, sostenuti anche in questo momento, potranno nella maggior parte dei casi riprendere con successo il proprio percorso interrotto, superare questo momento di sofferenza e ritrovarsi, nella disabilità, arricchiti e cresciuti.


Simona Landi

Psicologa, psicoterapeuta e terapeuta familiare

L’articolo è stato pubblicato su PLP Italia.

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