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Il ritmo dell’incontro madre-figlio si nutre essenzialmente di gesti, di baci, di carezze e la voce della madre è – ancor prima di avere un significato – un altro tipo di carezza, è accoglienza e sicurezza. Sono gesti iscritti nel registro arcaico della corporeità che, anche dopo l’avvento del linguaggio, continuano come humus relazionale buono, di sostegno e fiducia. Ma il sentire iniziale da solo non basta, se ad esso non seguono i gesti giusti di cura amorevole, dettati non dall’improvvisazione e dall’istinto ma dalla consapevolezza della madre di essere tale. Gesti che rispettino i bisogni del bambino, ne riconoscano le emergenze, ne sazino le attese e insegnino a posticipare la realizzazione dei desideri. Tutta l’interazione corporea madre-figlio si struttura nell’armonia della relazione che si autoregola: anche il semplice movimento del bambino (ad esempio l’alzare la gamba o l’inarcare la schiena durante il cambio del pannolino) trova una risposta sincronizzata e rispecchiante della madre. È così che il bambino impara a sentire la propria unicità all’interno della famiglia, sicuro di poter sperimentare quel bacio e quell’abbraccio che riescono a mettere insieme la diversità irripetibile di ciascuno nell’armonia della relazione (Salonia, 2011b). La fiducia gli verrà dal sentire accanto la madre, fonte di cura amorevole, e il padre, dalla cui forza attingerà le fondamenta, la sicurezza di poter intraprendere l’affacciarsi nel mondo e il viverlo con levità. Crescendo, il bambino imparerà a conciliare la solitudine del proprio essere nel mondo, la fatica della propria crescita e la casa – primo luogo dell’incontro – dove ritrovare le radici, l’appartenenza.

Dada Iacono, Gheri Maltese, Verso un nuovo pensiero felice, in Giovanni Salonia (ed.), La vera storia di Peter Pan. Un bacio salva la vita, Cittadella Editrice – 1° Edizione Dicembre 2016, pag. 63



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